In principio era il melos. Così si definisce il canto popolare di tradizione orale, un canto spontaneo che si è congiunto e mescolato con la poesia popolare trasmessa oralmente. La comunità ha creato e riconosciuto questa melodia, sulla quale adatta la poesia ereditata dai padri e in cui la lingua parlata si fonde con la forma ritmica della musica: una melodia che si tramanda, assorbendo nei secoli gli apporti di tutti i popoli che hanno calcato il suolo siciliano e appropriandosi delle espressioni artistiche con le quali è venuta in contatto.
“I canti popolari – dice Herder – sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione, della vita dei suoi padri, dei fasti della sua storia, l’espressione del cuore, l’immagine del suo interno, nella gioia e nel pianto, presso il letto della sposa ed accanto al sepolcro”
Le attività lavorative a Pantano venivano sempre scandite dai canti. I capuani costituivano un repertorio tipicamente femminile, legato al contesto lavorativo dei ghiummi. gruppi di sei-sette ragazze dedite al trasporto e al lavoro in campagna.
(Il termine ghiummo potrebbe derivare dal termine ciurma, ma non è improbabile una sua derivazione dal verbo siciliano “agghiummari (aggomitolare).
Nella prima metà del ventesimo secolo le donne del Comune di Saponara e della frazione di Scarcelli e Cavaliere erano delegate, oltre al lavoro tipico della campagna, anche al trasporto di carbone sui monti Peloritani e a quello della paglia e del fieno a Rapano e Pantano.
Si partiva da Saponara o dalle sue frazioni la mattina verso le tre, riunite in ghiummi. Già a quell’ora erano i canti a chiamare l’adunata e spesso alcuni paesani si rivolgevano ai carabinieri per dissuaderli dal cantare quando attraversavano le vie del paese.
I ghiummi, che intraprendevano a piedi per lunghi chilometri la strada di Pantano, attraversavano il torrente Saponara e si incamminavano per la ripida salita, denominata trazzera di contrada Martinetto, ricca di flora spontanea, una macchia mediterranea composta in prevalenza da erica arborea, elichrysum, rosmarino, satureja fruticulosa, euphorbia dendroides, che coloravano l’ambiente con i loro toni vivaci e con i piccoli arbusti e cespugli sempreverdi.
Durante la salite le donne spesso erano accompagnate da qualche tamburello e cantavano le capuane.
Duemila carezzi mi facisti
Tutti ddi baciateddi chi mi dasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
(Duemila carezze mi hai fatto tanti baci mi hai dato. Passata la mezzanotte te ne sei andato mi hai lasciata con la pena nel cuore)
Questo repertorio musicale veniva eseguito esclusivamente all’interno del contesto lavorativo del trasporto della merce, in cui svolgeva la funzione di alleviare dalle fatiche e ingannare il tempo.
La vegetazione, una volta raggiunto l’altopiano di contrada Lagunovu (luogo nuovo) andava pian piano cambiando e si caratterizzava per la prevalenza di vigneti e frumento e di alberi di olivi, agrumi e fichi. Si intravedevano anche i fiori che si sviluppano sulle pale del fico d’india, il frutto commestibile di colore giallo di diverse sfumature, rosso o verde chiaro, preferito dai viandanti. C’erano inoltre arbusti di mirti, corbezzoli, lauri, accompagnati da varie erbe aromatiche (menta, lavanda, rosmarino, timo).
Dall’altopiano di Lagunovu si intravedevano da una parte le lumere del Comune di Saponara e dall’altra quelle del Borgo Pantano.
Una delle ragazze raccontava che arrivati in questo luogo appena si metteva a cantare il fidanzato, che ancora dormiva a Saponara, si alzava, accendeva la luce e si fumava una sigaretta alla finestra mentre lei da lassù vedeva la luce e gli cantava le canzoni.
Dall’altopiano di Lagunovu, dopo essersi rinfrescati alla sena (sorgiva d’acqua), le ragazze intonavano u’ riiddu (scricchiolo), una specie di vocalizzo glissato (u-uu oppure ai-ai) molto gioioso eseguito a conclusione delle capuane che preannunciava il loro arrivo nei campi di Pantano. Si trattava di un richiamo a più voci a cui le donne del borgo Pantano rispondevano per confermare che avevano sentito ed erano in attesa.
Allora u ghiummu intraprendeva la discesa per i campi del borgo.
Durante la discesa, a seconda della attività da svolgere, u ghiummu costeggiava il torrente lagunovu, fino ad arrivare alla tana delle volpi se doveva caricare la paglia o il fieno. Una volta sul posto, ogni donna sistemava 50/60 kg di paglia o fieno nelle butane (lenzuoli spessi legati ai quattro estremi con delle corde) e riprendeva la strada del ritorno.
Nel mese di settembre c’era la vendemmia, e allora u ghiummu era delegato alla raccolta e al trasporto dell’uva. Giunti a Lagunovu si intraprendeva la discesa nei campi, questa volta verso contrada Pozzo, dove all’ombra dei maestosi cipressi, si partecipava alla vendemmia.
C’era molta allegria, era un lavoro facile, e ogni tanto si mangiava un rappu (grappolo) tanto per controllare se l’uva era buona. Ogni tanto, durante le pause di lavoro, le donne aiutate dai bambini si immergevano nell’adiacente carruggio (ruscello) per pescare i ranciaciumi (granchio di fiume).
L’uva raccolta veniva caricata o a dorso di mulo, condotto dai contadini, o in grossi panieri sulla testa delle donne, che la trasportavano cantando fino al palmento di Pantano, dove gli uomini a piedi nudi la pestavano.
La vendemmia era anche una festa di aggregazione: c’era bisogno di molte braccia che a ora di pranzo si ritrovavano; le donne preparavano u sugu e u piscistoccu a ghiotta (pesce stocco cucinato in maniera tipica) e Cinniredda, il musicista girovago, cantava e suonava la fisarmonica
Estratto dal libro in fase di definizione “Borgo Pantano, la storia la vita i ricordi” e dal libro di Maria Cristina Caruso “Canzoni e capuani” edito dalla libreria Musicale Italiana.